“Favorire la condivisione (...) per sentirci parte di un territorio comune e prenderci cura di esso e dei suoi abitanti.”

“Favorire la condivisione (...) per sentirci parte di un territorio comune e prenderci cura di esso e dei suoi abitanti.”

Manuela e Sara, siete veterane della Rete di Quartiere “I Colori della Morla” di Valtesse S. Antonio Valverde. Potreste raccontarci come è iniziata la vostra esperienza?
Manuela: Ciao, sono Manuela Castelli e vivo a San Colombano. Faccio parte della rete da 10 anni, ricoprendo diversi ruoli. Oggi partecipo come genitore, avendo due figli che frequentano la scuola del quartiere. Ho iniziato proponendo progetti scolastici, mi hanno poi invitata a unirmi alla rete, che conoscevo solo superficialmente. Entrando, ho scoperto un mondo nuovo.

Sara: Sono Sara Pizzaballa, parte della rete da oltre 5 anni. Sono entrata anche io tramite la scuola, spinta da una storica partecipante della rete che mi ha coinvolta in alcune iniziative scolastiche. Come Manuela, frequentando le riunioni, ho scoperto un territorio che pensavo di conoscere, ma che in realtà mi ha rivelato tantissimi aspetti di associazionismo e volontariato spesso nascosti.

 

Di progetti ce ne sono molti, ma vorrei saperne di più sul giornalino “Il mio quartiere”.
Manuela: Il giornalino è stato pensato come uno strumento per comunicare a tutti i residenti del quartiere le varie iniziative e informazioni. È sempre difficile raggiungere tutti e capita spesso che amici ci dicano: “Ma caspita io non lo sapevo di questa cosa”. Durante una riunione, emerse la necessità di trovare un modo per comunicare meglio. Partecipando a un corso sulla resilienza offerto dal CESVI, abbiamo ricevuto i fondi necessari per realizzare il giornalino.

Sara: La Rete ci ha proposto il corso. CESVI, in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano, offriva percorsi sulla resilienza per creare progetti concreti che potessero essere finanziati. L’obiettivo era anche ricostruire i legami sociali smembrati dalla pandemia, riflettendo su come le persone avessero affrontato la situazione. È stato un percorso arricchente, sia a livello personale che di comunità. Nel nostro quartiere c’è stata una buona partecipazione. Questo corso ha dato struttura alle iniziative di vicinanza già presenti, come BergamoxBergamo, e ha permesso di dare un senso e un nome a tutto ciò che era nato spontaneamente. L’idea del giornalino cartaceo è stata importante per raggiungere anche gli anziani, offrendo una comunicazione capillare.

 

Come vi siete organizzati? Avete una redazione?
Sara:  Sì abbiamo creato una struttura con riunioni regolari, sia online che in presenza, abbiamo cercato di evitare che il giornalino diventasse solo un elenco noioso. Manuela ci ha aiutato con la sua esperienza da grafica, e ognuno ha contribuito con idee per il contenuto.
La struttura include una presentazione della Rete, interviste e rubriche che danno voce ai ragazzi e propongono consigli di lettura e ricette. Vogliamo anche incoraggiare i lettori a inviare articoli o racconti, e abbiamo inserito una call to action per questo.

Manuela: Il giornalino esce ogni 4 mesi, ed è laborioso da preparare. Ci teniamo a offrire notizie positive e costruttive. Abbiamo ricevuto feedback positivi dai cittadini e qualche suggerimento. Abbiamo sfruttato i fondi CESVI per materiale di consumo grazie a una stampante acquistata dal CTE. I volontari si occupano della stampa e della piegatura, e coinvolgiamo anche le persone anziane e i ragazzi del CSE per distribuire le copie. Abbiamo stampato 2000 copie e tenuto traccia delle distribuzioni per le prossime edizioni.

 

Tornando al corso avviato con CESVI. Com’era strutturato questo percorso sulla resilienza e come lo avete vissuto?
Sara: Il percorso includeva la partecipazione della referente CESVI e di due psicologhe dell’Università Cattolica, con incontri online seguiti da un workshop in presenza. Durante questi incontri, abbiamo ricevuto una preparazione teorica sulla resilienza, che ci ha fatto riflettere su come, anche noi, siamo riusciti ad essere resilienti durante la pandemia.
Trasmettere questa esperienza agli altri è difficile, ma penso che ognuno di noi abbia mostrato una forma di resilienza. È stato bello perché, anche se la spiegazione era teorica, era applicata alla nostra realtà, non come se fossimo estranei alla pandemia. Abbiamo tutti vissuto e affrontato le difficoltà psicologiche e sociali di quel periodo, e dare un senso alle nostre reazioni è stato molto utile.

Manuela: Il giornalino è stato figlio di tutto ciò. Ha come obiettivo non solo informare, ma anche favorire la condivisione e la cura reciproca. Vogliamo che continui, per sentirci parte di un territorio comune e prenderci cura di esso e dei suoi abitanti.
Inoltre, abbiamo sfruttato il progetto “Rete Amica”, che prevede telefonate agli anziani, per dare ulteriore comunicazione. Il progetto è stato molto utile e ha ricevuto feedback positivi da parte degli anziani, che hanno apprezzato le telefonate. Questa iniziativa dimostra che dietro c’è un gruppo di persone pronte ad aiutare, facendoci sentire più vicini anche a distanza.

 

Dicci di più anche del  progetto “Rete Amica”?
Manuela: “Rete Amica” è un’iniziativa nata per proseguire il progetto “Buongiorno Bergamo”. Molti di noi hanno partecipato come volontari a “Buongiorno Bergamo” e volevamo continuare perché durante le telefonate molti anziani hanno espresso il desiderio di essere ricontattati. Poiché il progetto del Comune era in standby, abbiamo deciso di avviare “Rete Amica”.
Abbiamo coordinato il progetto con il nostro Operatore dell’Area Anziani e con i servizi sociali, e abbiamo anche consultato esperienze simili in altri quartieri. “Buongiorno Bergamo” è stato un progetto emergenziale molto positivo e abbiamo voluto proseguire per continuare a offrire vicinanza agli anziani. Anche se alcuni ci dicono che non hanno bisogno di supporto, apprezzano comunque le telefonate e spesso suggeriscono di contattare persone più bisognose.

Sara: Vogliamo proseguire con il progetto e, poiché non abbiamo i contatti di tutti gli anziani, faremo volantinaggio per promuovere il nostro numero di telefono e permettere anche alle persone non raggiunte di contattarci. Così, potremo offrire compagnia e informazioni utili, come quelle dell’infermiere di comunità.

 

Per concludere, cosa vuol dire per voi “Abitare Valtesse”?
Manuela: Uscire e incontrare persone, visitare piccoli negozi e avere un senso di appartenenza e conoscenza è qualcosa che apprezzo profondamente. Quando telefonavo agli abitanti del quartiere, ho sentito di vivere davvero il luogo, perché parlavo con persone che conoscevo. 

Sara: Creare relazioni, conoscere profondamente il territorio, le sue strade, ricevere le informazioni e conoscere le opportunità che offre. Per me vuol dire viverlo!

Leggi le altre Storie di Quartiere:

Esperienze che fanno grandi le Reti.