"Inclusione non significa pietismo e assistenzialismo: inclusione è accettazione e comprensione delle nostre diversità."

"Inclusione non significa pietismo e assistenzialismo: inclusione è accettazione e comprensione delle nostre diversità."

Socialità e inclusione attraverso lo Sport nel quartiere San Paolo

Il racconto di Silvia

Ciao Silvia, ci racconti come nasce la tua esperienza nel mondo del volontariato?
Sono cresciuta in una famiglia dove mettersi al servizio della comunità era un valore ritenuto molto importante; sin da piccola ero incoraggiata a fare piccole azioni per gli altri, soprattutto in contesti legati all’Oratorio. Questa propensione diventa più forte quando a mio figlio viene Jacopo viene effettuata una diagnosi di autismo severo; sin dall’età della Scuola d’Infanzia, quindi, il mio obiettivo è stato quello di dare la possibilità a Jacopo e a tutti i bambini che si trovavano in una situazione simile di poter partecipare ad attività e progetti in cui i valori principali fossero l’inclusione, la socialità e la sperimentazione delle proprie abilità.

Siete riusciti anche a coinvolgere altre realtà di San Paolo in questi progetti?
Sicuramente è stato fondamentale, sin dall’inizio, avviare collaborazioni con i servizi comunali che operano in favore alla disabilità e altre realtà del territorio. È sempre stato importante svolgere un vero e proprio lavoro di rete che permettesse di connettere persone, professionalità, servizi in modo tale da non rimanere da soli; in questo modo – e con l’aiuto di tante persone nel corso degli anni – abbiamo potuto dar vita ad attività nel quartiere che hanno evidenziato il valore dello sport, dell’arte, del teatro come strumento di inclusione e di crescita personale e collettiva. Una delle prime iniziative che abbiamo ideato è stato il Circo che abbiamo fatto per 6 anni nel quartiere di San Paolo.

Ci puoi raccontare com’è nato il progetto e come si è potuto concretizzare?
Conoscendo la passione e l’abilità di Jacopo e di un suo amico per ciò che riguarda l’equilibrio e il travestimento, in quanto genitore ho coinvolto gli operatori dei servizi in favore alla disabilità e, con la collaborazione della Parrocchia di San Paolo, di Fritaim – un’associazione del quartiere che si occupa di persone adulte con disabilità – dell’I.C. I Mille e degli altri genitori dei compagni di classe, abbiamo pensato di realizzare in Oratorio a San Paolo un circo in cui bambini con diagnosi nello spettro autistico e bambini neurotipici giocavano insieme: un gruppo dove ci si confrontava con la diversità che, però, non diventava un freno all’attività bensì consentiva ai bambini stessi di relazionarsi meglio tra loro crescendo insieme.

Una bella esperienza che ha messo in luce anche un virtuoso episodio di integrazione e collaborazione tra servizi comunali e realtà del quartiere: è proseguita anche in seguito?
Sì, nel corso del tempo sono state realizzate tante altre attività sempre con un forte radicamento territoriale come i laboratori di danza popolari e di cucina multiculturale, laboratori di canto e di teatro e attività di gioco in oratorio; ad un certo punto, nel 2017, abbiamo deciso di dar vita a “San Paolo in Bianco”, un’associazione sportiva con l’obiettivo di costruire inclusione e socialità attraverso il mezzo della pratica sportiva, in particolare dello snowboard. Insieme ad alcune persone volontarie durante il periodo invernale si andava a sciare tutti insieme sulla neve a Branzi: un percorso sportivo ed educativo dove lo sport permette di creare una bella coesione del gruppo  dove ogni momento, – anche il viaggio in macchina – è un’occasione di socializzazione. Lo sport diventa un mezzo per creare relazione.

In quel periodo sei anche entrata nella Rete di San Paolo; cosa significa partecipare a una Rete di Quartiere?
Pur non riuscendo ad avere una presenza continuativa nel tempo, appena posso cerco di partecipare oppure mi premuro di informare la Rete delle opportunità che San Paolo in Bianco cerca di portare avanti; tenere relazioni strette con le realtà che partecipano alla vita comune del quartiere è sempre stato fondamentale, come ho già raccontato: la Rete è un ulteriore spazio per attivare nuove collaborazioni, progetti e conoscenze. Per noi il lavoro di rete non è un’opzione, è necessità!

Ci stai raccontando molte storie e tantissimi progetti che nel tempo sul quartiere e nella città avete cercato di realizzare collaborando di volta in volta sempre con realtà territoriali con cui avete stretto solide collaborazioni; com’è possibile – in base alla tua esperienza – invogliare le persone a partecipare alla vita del proprio quartiere?
Noi recentemente, insieme a Spazio Autismo, Coop. Serena, Assessorato alle Politiche Sociali, Fondazione Angelo Custode abbiamo pensato ad un progetto, “Bergamo in Blu”, che ha proprio la funzione di sensibilizzare il territorio rispetto all’autismo, un percorso pratico per vivere in prima persona questa realtà. Attraverso delle attività cerchiamo di scalfire la cultura individualista che ormai ci circonda per far capire a tutte le persone che mettersi al servizio degli altri non è solo bello ma è un momento prezioso di formazione personale. Noi ci crediamo tanto.

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