In questo luogo anche persone che non hanno esperienza di volontariato con la fragilità trovano spazi di sperimentazione e i ragazzi beneficiano di queste esperienze di scambio e di attività svolte in compagnia.

In questo luogo anche persone che non hanno esperienza di volontariato con la fragilità trovano spazi di sperimentazione e i ragazzi beneficiano di queste esperienze di scambio e di attività svolte in compagnia.

Al Villaggio Sposi, l’esperienza di una casa famiglia aperta al volontariato di quartiere (e non solo)

Il racconto di Giuliana

Ciao Giuliana, ti va di presentarti? Partecipi alla Rete di quartiere del Villaggio Sposi?
Ciao, sono Giuliana Villa e partecipo alla Rete di quartiere con la casa famiglia “La Vite ed i Tralci”
Partecipo assiduamente al sottogruppo “Intreccio” della Rete di quartiere del Villaggio Sposi.

Quali sono gli argomenti trattati nel sottogruppo “Intreccio” della Rete di quartiere?
Partecipano realtà legate a situazioni di disabilità, la prima funzione è quella di condividere le iniziative che una realtà o l’altra propone e creare opportunità di collaborazione, è inoltre uno spazio per mettere in comune le difficoltà e supportarsi nell’ideare strategie per superarle e perfezionare ciò che già c’è. C’è una visuale complessiva su ciò che accade in questo ambito e si approfondisce il tema del volontariato.

Come racconteresti, a qualcuno che non ti conosce, cos’è “La Vite ed i Tralci”?
La casa famiglia “La Vite ed i Tralci” è una casa aperta dove ognuno può entrare e uscire quando vuole, portando se stesso. È nata come sperimentazione nel luglio 2016, accogliamo persone con la sindrome Prader-Willi e con disabilità, maggiorenni, l’obiettivo è poter dare sollievo alle famiglie per alcuni periodi di tempo o per accompagnare le persone verso l’autonomia. Possiamo ospitare fino a 8 persone in forma residenziale ma solitamente preferiamo approcci più dedicati e non superiamo i 5-6 ospiti.

Quante persone operano in questa realtà?
Qui viviamo mio marito e io, supportati da una rete di volontari di circa 15 persone che si danno il cambio e fanno turni, in più anche ragazzi che fanno stage o tirocini scolastici, che rappresentano un aiuto notevole anche per le competenze e lo scambio di esperienze (l’incontro tra la teoria che studiano e la pratica che vivono nella struttura).

Ci accennavi che la sindrome di Prader-Willi è rara.
Sì, è una malattia rara genetica, le conseguenze più evidenti sono i disturbi alimentari e il metabolismo rallentatissimo. Le persone con questa diagnosi sono condizionate da un incessante senso di fame dovuto a una lesione ipofisi-ipotalamo. In alcuni casi è presente anche un leggero ritardo mentale, o problemi a livello psichico. L’incidenza è di 1 ogni 15-20.000 nuovi nati, in Italia 400-450 casi, molti in Lombardia (probabilmente vengono diagnosticati con maggiore probabilità).

La casa famiglia è strutturata in varie zone che richiamano attività diverse: palestra, laboratorio, appartamento, area verde.
Le attività sono molteplici, l’unica obbligatoria è l’attività motoria (che può essere palestra, passeggiata, escursione, piscina) legata al benessere, e poi si cerca ciò che per ogni ragazzo è piacevole fare, possono scegliere se dipingere, lavorare la terra, tessuti (telai), ceramica, etc.

Ci dicevi che questa realtà nasce nel 2016, come ha risposto il quartiere?
Siamo originari di Treviolo e pensavamo di rimanere lì, tramite una vicina di casa siamo capitati per caso al Villaggio Sposi e siamo più contenti perché c’è una grande integrazione e ci sentiamo parte del quartiere, è stata una piacevole sorpresa. Il quartiere ha accolto questa realtà in modo grandioso, sia la Parrocchia, sia la Rete di Quartiere e anche tutte le associazioni presenti sul territorio. Sono sorte subito collaborazioni con il gruppo territoriale “Non solo parole” (Sezione Sociale dell’USVS/Unione Sportiva Villaggio Sposi) con il progetto “In Tandem” e il coinvolgimento nell’evento “Fischio d’inizio”.

Il ruolo dei volontari è fondamentale. Ci sono volontari di quartiere?
Il passaparola ha fatto in modo che un terzo dei volontari sia del quartiere e c’è una grande apertura con le varie realtà del territorio. Gruppetti di preadolescenti venivano a trascorrere un pomeriggio al mese inviati dalla Parrocchia, con l’Istituto Comprensivo venivano ragazzi con difficoltà d’inserimento scolastico con il proprio docente di sostegno, ci sono scambi di esperienze con altre cooperative come Namasté (es. passeggiate, pet therapy). Anche le famiglie incuriosite dagli animali si fermano per conoscere gli animali.

Come impostate la presenza dei volontari nella struttura?
Ci sono molte attività che nascono in modo spontaneo, e questa apertura c’è anche nei confronti dei volontari. Ovviamente le presenze fisse sono utili, però non è vincolante l’impegno fisso, questa realtà accoglie anche chi ha poca disponibilità di tempo e nessuna specifica competenza. Anche mezz’ora quando c’è la possibilità è un aiuto per ascoltare i ragazzi oppure attività varie (orto, telaio, decoupage, ceramica, etc). Basta una propensione all’ascolto.

Ci sono contatti con persone che non hanno nulla a che vedere con realtà legate alla disabilità, c’è per esempio un ragazzo che fa attività sportiva e ha chiesto di poter utilizzare la palestra per fare attività motoria con alcuni suoi conoscenti e si presta a farla con i ragazzi.

C’è una specificità sulla sindrome ma, laddove è compatibile la convivenza, c’è sempre apertura.

Avete notato cambiamenti nel corso del tempo in relazione ai volontari?
Lo stile dell’apertura senza vincoli attrae una nuova tipologia di volontari che si sentono “ingabbiati” all’idea dell’impegno fisso e rigido, in questa realtà ognuno si aggrega in relazione alla propria propensione e c’è sempre stato un turnover, ci sono sempre stati dai 12 volontari in su.

Quali sono i valori che vi guidano nella casa famiglia e nella relazione con il quartiere?
Propensione all’ascolto, voglia d’incontrare, di ascoltare, di fare qualcosa che piace, insieme.
Alla base c’è una curiosità costante, il desiderio di rifiutare schemi rigidi, sovrastrutture. In questo luogo anche persone che non hanno esperienza di volontariato con la fragilità trovano spazi di sperimentazione e i ragazzi beneficiano anche di queste esperienze di scambio e di attività svolte in compagnia.

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