"L’accoglienza diffusa favorisce l’integrazione e serve ad abbattere i pregiudizi. Se ogni comunità si prendesse in carico poche persone le cose sarebbero più vantaggiose per tutti."

"L’accoglienza diffusa favorisce l’integrazione e serve ad abbattere i pregiudizi. Se ogni comunità si prendesse in carico poche persone le cose sarebbero più vantaggiose per tutti."

L’esperienza dell’accoglienza diffusa per persone migranti a Santa Lucia

Il racconto di Ersilia e Marzia

Ersilia e Marzia, partecipate alla Rete di quartiere per il gruppo Caritas parrocchiale. Vi siete dedicate ad un progetto di accoglienza diffusa per persone migranti. Ce lo potete raccontare?

Marzia: L’accoglienza diffusa riguardava un progetto promosso da Cooperativa Ruah e Associazione Diakonia – Onlus. La parrocchia di Santa Lucia nel 2015 aveva dato la propria disponibilità ad accogliere alcune persone migranti all’interno di un appartamento del quartiere. Il nostro gruppo di volontarie della Caritas si era reso disponibile per dare una mano nell’integrazione e nella formazione dei ragazzi, quando giunsero nella tarda primavera del 2016.
Nell’appartamento erano ospitati 6 ragazzi provenienti da Costa D’Avorio, Mali, Senegal, Camerun e avevano un’età compresa tra i 18 e i 23-24 anni: noi volontarie della Caritas parrocchiale eravamo in 5, oltre a noi c’erano anche educatori della Cooperativa Ruah.

Ersilia: L’obiettivo era quello di renderli autonomi, da un punto di vista linguistico ed economico: come volontarie offrivamo il nostro aiuto per lo studio dell’italiano; pensate che siamo riuscite a far iscrivere alcuni ragazzi alle Scuole Medie: in due hanno anche preso il diploma di terza media.

Marzia: Oltre all’alfabetizzazione abbiamo puntato sul lavoro, cercando per i ragazzi dei lavori stagionali ad esempio in aziende vitivinicole; un ragazzo l’abbiamo aiutato a frequentare un corso di perito meccanico, un altro ragazzo ha fatto il corso di saldatore anche se lui era già saldatore professionista nel suo paese. Era talmente bravo nel suo lavoro che un’azienda del territorio l’ha assunto. Ha anche trovato l’amore! Questa cosa ci ha riempito di orgoglio e di contentezza.

Ersilia: Purtroppo, però, per vari motivi il progetto a marzo 2019 si è concluso e i ragazzi sono stati trasferiti in altri appartamenti in Provincia. È stato per me un momento di profonda tristezza quando abbiamo saputo che i ragazzi se ne dovevano andare dall’appartamento.

 

Cosa ha generato il progetto accoglienza diffusa? Quali sono le emozioni che il progetto di accoglienza diffusa vi ha suscitato e che vi portate ancora dentro?

Ersilia: innanzitutto le esperienze di accoglienza diffusa sono interessanti perché permettono di avere un piccolo agglomerato di persone che vivono normalmente in un appartamento e possono integrarsi facilmente in una comunità. Questo serve anche ad abbattere i pregiudizi che ci sono, perché l’immigrazione viene spesso messa in relazione con i grandi numeri proposti dai media e questo genera paura. Se invece ogni comunità si prendesse in carico poche persone le cose sarebbero più vantaggiose per tutti.

Marzia: E poi abbiamo avuto la famiglia, affrontando anche la complessità delle relazioni famigliari…

Ersilia: per un periodo di tempo era presente un ragazzo trentenne arrivato dal Camerun, che nel suo paese aveva il diploma di geometra, ma qui doveva prendere ancora il diploma di terza media, non parlando italiano. Tra l’altro è venuto in Italia con compagna e figlia che però sono state mandate a Rovigo mentre lui è dovuto restare a Bergamo.

Marzia: dopo mille peripezie, la famiglia adesso abita a Strasburgo, in Francia ed è unita. Abbiamo stretto con loro un legame talmente forte che al Battesimo della loro ultima figlia mi hanno chiesto di essere madrina: non potete capire l’emozione!

Ersilia: continuiamo a tenere i rapporti con le persone con le quali abbiamo condiviso questa esperienza anche se, ormai, non hanno più bisogno del nostro aiuto. C’è un bello scambio reciproco.

 

Dal vostro racconto emergono forti emozioni, ma anche molte difficoltà che avete incontrato nel percorso. Cos’è che vi ha spronato a mettervi così in gioco?

Marzia: Il fatto di conoscere davvero le persone, non limitarsi a scambiare due parole quando incontri queste persone in strada: quando si sta insieme comincia il racconto di una storia, ci si prende per mano e si fa un pezzo di strada insieme, cresci tu, cresce lui.

Ersilia: non avevo più intenzione di stare ad ascoltare solamente le persone con cui parlavo e che mi dicevano costantemente: “non ho lavoro, non ho la casa”. Quando mi hanno proposto di entrare nella Caritas parrocchiale, dopo qualche titubanza ho accettato e questo mi ha tra l’altro mi ha permesso di approfondire la storia dei paesi africani, la burocrazia sociale, politica, legislativa: impari anche ad essere paziente, ci vuole davvero una enorme pazienza quando si ha a che fare con la nostra burocrazia.

 

Che consiglio dareste alle altre persone per mettersi in gioco come avete fatto voi?

Marzia: il mio suggerimento è quello di buttarsi nel ballo e nella vita veramente: mettersi a ballare, a ballare la vita!

Ersilia: io consiglio di non limitarsi ad incrociare le persone in strada ma di fermarsi a guardarli negli occhi. Ogni tanto, quando leggevamo qualcosa insieme, notavi che i loro occhi si riempivano di lacrime e non sapevo più se continuare, lasciare andare, dargli una carezza, mettergli una mano sulla spalla: è una grande esperienza di vita.

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