“Servono visioni e obiettivi comuni oltre che tempo per imparare a lavorare insieme, ma il risultato si vede. Realizzare un progetto insieme vuol dire amplificarlo, renderlo mille volte migliore e scoprirsi complementari”

“Servono visioni e obiettivi comuni oltre che tempo per imparare a lavorare insieme, ma il risultato si vede. Realizzare un progetto insieme vuol dire amplificarlo, renderlo mille volte migliore e scoprirsi complementari”

Estate ragazzi Longuelo: lavorare insieme per e con i giovani

Il racconto di Rolando e Carla

“Estate ragazzi Longuelo” è un ampio cartellone di attività per i più giovani che nel 2020 e 2021 ha preso una forma nuova, diffusa e, nonostante le difficoltà del periodo emergenziale, ha saputo raccogliere risultati entusiasmanti.

Abbiamo parlato con i coordinatori dell’iniziativa Rolando Magrini coordinatore dell’Oratorio di Longuelo e Carla Coletti dell’Impresa Sociale “Generazioni FA” per farci raccontare questa esperienza.

Ciao Rolando e ciao Carla, raccontateci come è nata “Estate ragazzi Longuelo” e come si è articolata?

Rolando: L’esperienza di “Estate ragazzi Longuelo” 2020 e 2021 è nata dalle esigenze ed emergenze connesse alla pandemia. Occorreva dividere i ragazzi in piccoli gruppi e avere più spazi per garantire che tutti potessero parteciparvi.
Abbiamo costruito delle opportunità un po’ differenti dagli anni precedenti. Ne è nata un’esperienza trasversale e diffusa nei vari spazi e luoghi del quartiere quali parchi comunali, lo Spazio Polaresco oltre che all’Oratorio (nel 2020 anche il Plesso Nullo mentre nel 2021 la scuola era occupata a causa di lavori).
Le attività prevedevano piccoli gruppi di non più di 10-15 partecipanti che coprivano tutte le fasce d’età (dalla 1^ alla 4^ classe della primaria e dalla 5^ della primaria alla 3^ del secondario primo grado).
Tutte le proposte sono state ideate, progettate e costruite insieme ai giovani accompagnati nel lavoro da educatori professionisti. Il gruppo di questi giovani era composto da 14 tra ragazze e ragazzi, parliamo in questo caso di maggiorenni, ai quali vanno aggiunti altri 35 adolescenti under 18 coinvolti come animatori a supporto delle attività.
Alle iniziative ricreative per i più piccoli si alternavano i laboratori pomeridiani pensati per gli adolescenti. Questi sono stati gestiti da professionisti di Generazione FA, e in parte da DOC Servizi, oltre che sostenute e condivise con alcune realtà della Rete di Quartiere come VivereLonguelo, Banda della Merenda, Scout ed il CUS dell’Università degli Studi di Bergamo che in Rete ha proposto un laboratorio a carattere sportivo.

Carla: Può sembrare scontato, ma l’idea vincente è stata quella di fare rete anche se siamo soggetti molto diversi. Metterci insieme, anche e nonostante le differenze è stata l’idea vincente. Questo ci ha permesso di unire le forze e le risorse, di contaminarci, oltre che ad essere concretamente distribuiti nel quartiere con la possibilità per i cittadini di vedere le attività nella loro realizzazione.
Ovviamente c’è stato un grande lavoro dietro. Le iniziative nascono da più tavoli di lavoro che confluiscono nella realizzazione dell’attività estiva. La macchina parte mesi prima, da inizio anno per poi concretizzarsi verso giugno e da lì fino ad agosto esplode tutto. Anche se possiamo dire che “Estate ragazzi Longuelo” è ormai un pensiero costante anche quanto concretamente non si progetta.

 

Una peculiarità del progetto è stato anche il coinvolgimento dei giovani. Come è strutturato il loro coinvolgimento?

Carla: Gli adolescenti sono stati coinvolti non solo per l’animazione delle attività ma anche nella loro gestione fin dalla fase progettuale e di ideazione, trovando, al contempo, spazio di svago: al mattino gestivano le attività per i più piccoli e nei pomeriggi avevano la possibilità di seguire laboratori sportivi e artisti dedicati a loro.
Inoltre, le medesime attività laboratoriali coinvolgono non solo i ragazzi dell’Oratorio ma anche giovani con fragilità in carico ai servizi comunali della Tutela minori della città. Estate ragazzi Longuelo” è un’attività per tutti; un’occasione per tenere insieme ragazzi con esigenze diverse e per creare scambio così da far vedere ad entrambi che oltre ad una fragilità ci può essere anche altro. Uno scambio che permette a tutti di aiutarsi in qualche modo.

Rolando: Quest’anno inoltre c’è stata una collaborazione con i ragazzi del progetto SAI (ex SPRAR – sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che ha visto i suoi partecipanti come parte attiva nei nostri laboratori (ad esempio hanno proposto il cricket come attività sportiva).
Un’altra attività interessante è stata quella realizzata nei cortili ALER. Con il supporto dell’operatrice del Portierato Sociale di ALER si sono svolte delle attività di animazione insieme ai nostri ragazzi. Questo a l’ulteriore dimostrazione di un territorio che si anima verso le nuove generazioni.

 

Come avete fatto a coinvolgere tutti questi ragazzi in un impegno di questo tipo?

Rolando: Il coinvolgimento parte da un lavoro di motivazione e fiducia che si costruisce col tempo. Per capirci: le ragazze e i ragazzi coinvolti sono gli stessi che già frequentano l’Oratorio.
Quindi possiamo dire che il loro impegno va in continuità con quello che già dedicano tutto l’anno, in modo naturale, anche se ovviamente quello estivo ha una dimensione più importante. Diciamo che non chiamiamo i ragazzi esclusivamente per il programma estivo, ma sono parte di una continuità, di un posto che possono sentire come una seconda casa e anzi sono loro che vengono a cercarci.

Carla: C’è un lavoro stupendo che va avanti da anni nell’Oratorio di Longuelo. Si è riusciti a trovare delle strategie e delle azioni che fanno rimanere i ragazzi. Gli adolescenti hanno proprio voglia di stare e incontrarsi in Oratorio.
Le persone che ci lavorano hanno saputo reinventarsi e reinventare le attività, hanno trovato il modo non solo di far venire i ragazzi, ma anche di farli restare offrendo loro opportunità di crescita.
Basti pensare che molti ragazzi continuano a frequentare nonostante l’università, addirittura si collegavano da altri paesi per seguire le riunioni anche se in Erasmus.

Rolando: L’idea di base è di valorizzare il singolo. Ad ognuno dei giovani occorre dare importanza ed il giusto tempo. Abbiamo fatto moltissimi colloqui individuali (telefonici quest’anno, a causa del Covid) investendo molto su questa cosa. Questo permette di conoscerci reciprocamente.
Altro aspetto è sicuramente quello di riuscire a creare gruppo. Facciamo molte attività durante l’anno per farli stare insieme. Ad esempio, a breve si andrà con un gruppo di 30 ragazzi a Barcellona, si visiterà la città, si incontreranno persone di Open Arms insieme a persone senza fissa dimora. È un’ulteriore esperienza per stare insieme, fare gruppo e crescere insieme.

Carla: Oggi è vitale prenderci carico delle nuove generazioni e imparare a motivarli e a valorizzarli come risorse. Abbiamo bisogno di un’attenzione maggiore per questi ragazzi che fanno fatica a ripartire. La fascia adolescenziale ha patito parecchio in questo periodo di pandemia. Il disagio era già evidente per molti, ora i problemi sono ulteriormente appesantiti. Mi preoccupa il fatto che quello che vediamo è una parte di questi giovani, ci sono quelli che si ritirano che vanno in un atteggiamento di chiusura, ma chissà quanti altri non riusciamo ad intercettare. Si stanno accentuando dei disagi che noi come adulti abbiamo il dovere di prenderci carico.

 

Prima si è parlato della forza di lavorare insieme. Come si potrebbe migliorare il lavoro di rete?

Rolando: Come abbiamo detto prima, l’unire le forze è ciò che ci ha permesso di realizzare “Estate ragazzi” nonostante le difficoltà e anzi trasformandole in opportunità. Noi nel quartiere abbiamo una realtà di Rete di quartiere molto viva, ma ci sono anche delle criticità. C’è in genere la tendenza a “fare da sé” ed occorre superare l’autoreferenzialità, fare rete è un po’ questo.
Ad esempio c’è l’idea è che lo spazio dell’Oratorio sia uno spazio aperto realizzando con attività trasversali da condividere anche con altri che operano nel quartiere (come ad esempio lo Spazio Polaresco oppure lo Spazio di quartiere appena avviato).

Carla: Usiamo spesso tante parole con la “co”: collaborare, cooperare, ecc. Ne parliamo tutti, ma da lì alla messa in pratica ne passa.
Spesso si pensa che condividere idee significhi che l’altro te le possa “rubare” e questo porta alla paura di provare. “Fare insieme” quindi fa paura.
Proprio per quella paura o a volte perché si cerca la collaborazione più per rendere sostenibile un progetto piuttosto che renderlo migliore.
Questo porta la co-progettazione a non essere ancora una pratica realmente intrapresa.
Noi quando abbiamo iniziato non avevamo questi presupposti. Ognuna delle nostre realtà stava in piedi da sola. Le nostre attività erano già sostenibili. Il cercarci, e quindi iniziare a collaborare, è stato davvero quel costruire qualcosa di più grande.
Servono visioni e obiettivi comuni oltre che tempo per imparare a lavorare insieme, ma il risultato si vede. Realizzare un progetto insieme vuol dire amplificarlo renderlo mille volte migliore e scoprirsi complementari.

Rolando: A volte si avviano processi da realizzarsi nell’immediato anche quando non si creano quei presupposti che ha menzionato Carla.
Occorre avere l’occhio di non ricadere in sovrapposizioni o in esperienze frammentate.
Dobbiamo evitare di produrre frammentazione con la scommessa di ricomporre lì dove c’è dispersione.
Come si è fatto con la realizzazione di altri progetti della Rete di quartiere come “Quartiere a colori” o “Longuelo aiuta Longuelo”. È importante coordinarsi tra realtà diverse che si muovono nel quartiere.

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